25 luglio 1956. Perché l'inaffondabile Andrea Doria colò a picco?


La nebbia, le incompetenze, lo speronamento da parte della rompighiaccio Stockholm, lo squarcio e tanta dose di sfortuna non spiegano perché lo scafo si riempì di acqua di mare a tal punto che in breve non riuscì più a galleggiare sulle fredde onde atlantiche e si inabissò.


L'Andrea Doria era dotata di paratie longitudinali, strutture che dividevano lo scafo in compartimenti stagni, accorgimento strutturale che si aggiungeva alle 11 paratie trasversali, anch'esse stagne, e siccome erano posizionate in corrispondenza dei locali dell'apparato motore creavano un vero e proprio doppio scafo interno che avrebbe dovuto migliorare notevolmente la resistenza all'affondamento.


Ma le paratie stagne, veri e propri muri senza buchi né crepe hanno dei tetti e le pareti toccano i soffitti che non sono stagni, ad esempio dove c'è una scala, una scaletta, posti dove le persone possono attraversare tra i ponti; altrimenti questi compartimenti sarebbero completamente sigillati e nessuno potrebbe entrare o uscire. In conclusione, quando l'acqua raggiunge questi buchi passa e arriva ai ponti superiori e inizia a riempirli perché questi non  hanno porte stagne e l'acqua può andare liberamente ovunque e traboccare attraverso un altro buco. È così che l'acqua trabocca attraverso le paratie ed è così che il Doria, indiscusso gioiello di ingegneria navale, è colato a picco.

E adesso possiamo chiederci perché l'Andrea Doria, costruita nel rispetto delle norme anti affondamento della Solas 1948, si inclinò per più di 20 gradi sulla fiancata speronata, decretando così la sua fine. La punta della Stockholm era penetrata per quasi 9 metri, 1/3 della larghezza del transatlantico italiano. Lo squarcio a forma di triangolo partiva da sotto il ponte di comando si estendeva sino ai doppi fondi della nave allargandosi dal basso verso l'alto dove raggiungeva 12 metri. Dopo qualche secondo il Doria, le cui macchine erano ancora al massimo, trascinò via quello che restava della prua della Stockholm. L'indicatore di assetto segnalò subito un'inclinazione di 18 gradi, poi l'ago andò rapidamente a 19°gradi e subito a 20 gradi. Il colpo fatale era stato inferto al compartimento a prora dei generatori elettrici che conteneva 10 serbatoi della nafta per una capacità di 1000 tonnellate, quasi vuoti (non riempiti di acqua di mare) perché la traversata volgeva quasi alla fine, mentre dall'altro lato sinistro, i serbatoi vuoti ma pieni di aria tendevano a sollevarla. La nave imbarcò 500 tonnellate di acqua nei serbatoi del carburante a dritta e sbandò di 20 gradi per via dell'allagamento  immediato che superò la sua capacità di controllo  destabilizzandone l'equilibrio. Se lo sbandamento non avesse superato i 15 gradi, le 11 paratie stagne che si estendevano dal doppio fondo fino all'altezza del ponte avrebbero potuto contenere l'acqua e la nave non sarebbe affondata.
La nave raggiunse un'inclinazione di 20° adagiandosi sul fianco destro, segue l'allagamento di tutti i compartimenti stagni, quindi la nave è spacciata. Allagamenti secondari dall'alto superarono la suddivisione in compartimenti stagni anche se la collisione aveva penetrato un solo compartimento stagno.


Se lo scafo si fosse inclinato al massimo di 15 gradi, inclinazione che la Solas prevedeva a seguito dell'allagamento di due comparti stagni, non si sarebbe adagiata sul fianco. Avrebbe continuato a galleggiare senza affondare. Invece l'impatto con la Stockholm, nonostante avesse provocato lo sfondamento diretto di una sola paratia, fu ben più grande perché il Doria continuò ad avanzare e questo provocò una frattura lungo la fiancata di dritta ben più estesa. La combinazione, dopo lo squarcio, dei 5 serbatoi allagati da un lato e dei 5 serbatoi vuoti  dall'altro ha provocato nel giro di pochi minuti un'inclinazione di 20 gradi che ha gradualmente tirato le cime delle paratie lungo il lato di dritta al di sotto del livello dell'acqua permettendo al mare di scorrere nei corridoi, nelle scale e in qualsiasi altro modo potesse trovare per entrare nel compartimento successivo.
Interessanti sono gli insegnamenti tratti nel campo delle costruzioni navali.

Nel 1962 il Maggiore del Genio Navale Montechiaro, docente di costruzione navale del 27esimo Corso Allievi Ufficiali di Complemento "Laureati" del Corpo della Capitaneria di Porto ha tenuto una lezione magistrale all'Accademia Navale di Livorno in cui tra le altre argomentazioni  ha evidenziato che l'affondamento dell'Andrea Doria ha insegnato che i doppi fondi della nave, del lato destro e del lato sinistro, non dovrebbero essere più resi comunicanti mediante l'apertura delle "paratie stagne di bilanciamento" o delle "valvole di bilanciamento" manovrabili dall'equipaggio, manovra raccomandata dalle istruzioni operative del "manuale di sicurezza", in caso di collisione, redatte dal cantiere Ansaldo. Sostiene che la nave non sarebbe affondata se la manovra non fosse stata fatta perché il mare non avrebbe potuto allagare il lato sinistro della nave, ancora perfettamente integro. Egli suggeriva che la presenza a bordo di un ingegnere navale avrebbe potuto impedire che fosse attuata questa manovra, certamente valida quando la nave non è troppo inclinata  ma inutile quando la nave è già troppo inclinata perché l'acqua non può andare in salita se non per l'azione delle pompe.

Ritenne necessario che per imparare da quell'errore le grandi navi dovessero avere a bordo, dal naufragio in poi, un ingegnere navale. Sostenne che nessun ufficiale di coperta avesse allora le capacità tecniche per realizzare immediatamente che l'angolo di inclinazione immediato della nave, subito 18 e poi 21 gradi non poteva essere causato dall'acqua imbarcata ma dall'aver imbarcato la prora rompighiaccio della Stockholm distaccata di netto, per taglio, dalla nave investitrice.

Suggerì anche che innovazioni si sarebbero potute fare nei ponti superiori alle porte stagne e infatti successivamente si crearono le splash door per limitare lo scorrimento delle acque a nave inclinata. Questa volta il prezzo pagato con la vita umana è stato caro ma dagli errori si impara.

Diego Meschiari

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