La casa che mi porto dentro



Per molto tempo ho pensato che casa fosse solo il luogo in cui ero nato: la mia stanza, la finestra che si affacciava sulla strada, il profumo del caffΓ¨ la mattina. Poi, crescendo ho capito che casa non era soltanto il posto dove vivevo,  ma tutto quello che mi circondava: questa cosa l'ho capita meglio quando mi sono trovato lontano da tutto ciΓ² che giΓ  conoscevo. All’inizio mi sembrava di aver perso un pezzo di me, come se avessi dimenticato qualcosa di importante. Ma proprio in quel distacco ho iniziato a capire che la sensazione di essere a casa non sempre coincide con il luogo da cui veniamo. A volte nasce in momenti che non ci aspettiamo, soprattutto nasce dentro di noi. Ricordo perfettamente la prima sera dell'imbarco nella mia cabina, nonostante non fosse la prima volta che dormissi da solo a centinaia di chilometri da casa, c'era una sensazione nuova che mi divorava dentro. La sensazione che qualsiasi cosa sarebbe accaduta l'avrei dovuta affrontare da solo, senza l'aiuto dei miei genitori o dei miei amici. Ero circondato solamente dalla stanza, silenziosa in un modo diverso, sembrava quasi essere vuota, nonostante non lo fosse. Pensai che avrei messo giorni interi prima di sentirmi di nuovo “nel posto giusto”. Invece non Γ¨ stato per niente cosi, pian piano sono riuscito a metabolizzare tutto quello che stavo facendo: la cabina non era piΓΉ soltanto uno spazio chiuso dove dormivo o comunque dove mi rilassavo, ma stava diventando una casa lontano da casa. Ogni centimetro era diventato di fondamentale importanza, come ogni attivitΓ  svolta al di fuori del lavoro. Ho cominciato a girare per la cittΓ  dove avevamo attraccato, La Maddalena, e a conoscere persone nuove. 


Non nego che alcune volte preferissi stare per i fatti miei, in disparte, con la musica a tutto volume la sera a Guardia Vecchia o a passeggiare verso l'Isola di Caprera. Col passare dei giorni, perΓ², quelle che all’inizio erano solo conoscenze sono diventate qualcosa di piΓΉ. All’inizio ci si osserva da lontano, ognuno immerso nei propri pensieri, incerto su quanto lasciarsi andare o quanto mostrarsi davvero. Poi, quasi senza accorgermene, ho iniziato a legarmi a quelle persone. Erano presenze semplici, quotidiane: un sorriso scambiato al mattino, una battuta quando la stanchezza si faceva sentire, un invito improvvisato a bere qualcosa dopo il turno. Eppure erano proprio questi piccoli gesti a ricordarmi che non ero davvero solo, anche lontano da casa si potevano creare legami autentici. Con alcuni di loro ho instaurato un rapporto speciale, di quelli che crescono lentamente, strato dopo strato, come se ognuno portasse con sΓ© un pezzo di normalitΓ  in un contesto completamente nuovo. C’erano le conversazioni senza fretta, quelle in cui parlavamo di tutto e di niente, nelle quali mi sono reso conto che la distanza non sempre allontana: a volte avvicina, perchΓ© ti spinge a condividere parti di te che, a casa, davi per scontate. Queste persone sono diventate un punto fermo nelle mie giornate. Mi hanno aiutato a ritrovare leggerezza quando il peso delle responsabilitΓ  sembrava schiacciarmi. Mi hanno ricordato che anche un luogo sconosciuto puΓ² trasformarsi in casa se hai qualcuno con cui ridere, confidarti o semplicemente condividere il silenzio. È grazie a loro se il lavoro Γ¨ diventato non piΓΉ solo lavoro e la cabina si era trasformata in una stanza: erano diventati parte di un mondo nuovo che stavo imparando a vivere davvero. E poi ci sono stati anche momenti piΓΉ leggeri, quelli che ti fanno capire che fai parte del posto in cui vivi. Come la prima volta che sono andato in discoteca con i miei nuovi amici, al KumalΓ¨ di La Maddalena. Non ero sicuro di volerci andare, ero convinto che non mi sarei divertito, che sarebbe stata una di quelle serate dove ti senti fuori posto. E invece Γ¨ stato tutto l’opposto: una serata unica, imprevista, travolgente. La musica alta, le luci che cambiavano colore, la confusione attorno e loro, accanto a me, come se fossimo un gruppo affiatato da sempre. Mi sono ritrovato a ridere, a ballare, a lasciarmi andare senza pensarci troppo. Poco alla volta, ho costruito relazioni anche fuori dall’ambito lavorativo. Un esempio speciale Γ¨ stato il Bar Fiume: all’inizio era solo un posto dove fermarmi per un caffΓ¨ al volo, una tappa veloce prima di iniziare la giornata. Ma col tempo il titolare e i dipendenti hanno iniziato a riconoscermi, a chiedermi come andava, a scambiare due parole che, pur semplici, riuscivano a trasmettere una familiaritΓ  autentica. Quel bar Γ¨ diventato molto piΓΉ di un locale: Γ¨ diventato un punto di riferimento, soprattutto nei momenti in cui non volevo stare in mezzo al caos o quando, dopo una giornata pesante, avevo semplicemente bisogno di un posto tranquillo dove respirare. Bastava sedermi lΓ¬, anche in silenzio, per sentirmi accolto. Il sorriso dietro al bancone, la battuta pronta, la calma che si respirava nell’ambiente… tutto contribuiva a farmi sentire parte di qualcosa, come se quel piccolo spazio sapesse cosa mi serviva ancor prima che lo capissi io.
Allora ho capito davvero cosa significa trovare casa lontano da casa: non Γ¨ un luogo preciso, ma l’insieme di tutto ciΓ² che ti fa sentire al posto giusto — anche quando pensavi che sarebbe stato impossibile.

NiccolΓ² Cianciotto

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