Rimuovete quel manifesto!

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di alcuni studenti della 3C.

Il 12 dicembre scorso, nel quartiere di Marassi, a due passi dallo stadio, l’associazione femminista Non Una Di Meno ha organizzato un presidio che ci sembra molto importante e di cui vorremmo parlarvi. Anche in questo punto della nostra città (come già in numerose città italiane), infatti, è stato affisso un enorme manifesto, firmato dall’associazione tradizionalista cattolica Pro-Vita, che paragona la pillola abortiva RU 486 al veleno. Vi mostriamo, prima di tutto, il manifesto

Come si vede dalla foto, il manifesto vuole far passare l’idea che l’aborto farmacologico metta a rischio la salute delle donne, tanto da poter essere addirittura mortale per loro. Nell’immagine, infatti, c’è una donna vestita di bianco, sdraiata a terra senza vita, avvelenata da una mela (come Biancaneve). La mela sarebbe la pillola abortiva. Ci saremmo aspettati che la donna fosse viva, magari vestita di nero, a lutto, per sottolineare che la morte è quella dell’embrione; invece no: a essere morta è lei. L’informazione che passa è chiara: la RU 486 è un veleno e provoca la morte della donna che la assume.
L’Associazione Non Una Di Meno ha organizzato un presidio di protesta, per riaffermare il diritto delle donne (sancito dalla legge 194 del 1978) a interrompere la gravidanza, anche con metodo farmacologico. Eccovi due foto del presidio 



Colpiti dalla manifestazione, ci siamo chiesti se quello che dice il manifesto di Pro-Vita sia vero, ne abbiamo parlato con il prof. Contu e la prof.ssa Filippi e abbiamo cercato informazioni scientifiche. Ebbene, abbiamo scoperto che il messaggio del manifesto è del tutto falso!
Esistono due metodi per interrompere la gravidanza: quello chirurgico e quello farmacologico. Quello chirurgico viene fatto con due interventi possibili: l’aspirazione e il raschiamento. Entrambi prevedono l’anestesia generale: si somministrano alla paziente tre farmaci che inducono temporaneamente la perdita totale della coscienza, con soppressione di ogni tipo di sensibilità. Il metodo farmacologico, invece, è una procedura che si basa sull’assunzione di due princìpi attivi, a distanza di 48 ore l’uno dall’altro: il mifepristone (contenuto appunto nella RU 486), che sopprime l’embrione, e la prostaglandina, che induce un ciclo mestruale e produce l’espulsione dell’embrione, come in un aborto spontaneo.
La RU 486, quindi, non è veleno. Al contrario: la pillola abortiva è un medicinale approvato dall’EMA (European Medicines Agency) e dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), giudicato quindi sicuro dalle massime autorità in materia: un farmaco sperimentato, legale, approvato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Ministero della Salute e dal Consiglio Superiore di Sanità italiani, utilizzato negli ospedali e nei consultori.
Caterina Pizzimenti, di Non Una Di Meno Genova, al presidio ha detto: «L’affissione di questo manifesto è un attacco alla libertà delle donne, al corpo delle donne, alla libertà di decidere cosa fare del proprio corpo. Questa è una vergogna, e questo sindaco ha fatto affiggere questi cartelloni dicendo che altrimenti avrebbe fatto una censura politica…»
In effetti, il sindaco di Genova, Marco Bucci, ha autorizzato l’affissione di questi manifesti dichiarando che, se non l’avesse fatto, avrebbe compiuto una censura politica. Ma anche questo è falso. Non si tratta di censura delle idee: il manifesto di Pro-Vita diffonde disinformazione e messaggi scientificamente scorretti. Non per niente, il Sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, ha fatto rimuovere i manifesti, spiegando che «il loro contenuto costituisce una comunicazione distorsiva della realtà, non suffragata da evidenze fattuali e volta a ingenerare allarme per scoraggiare l’uso del medesimo prodotto». 

Che effetto fa quel manifesto su una ragazza di quindici anni magari poco informata? Agisce su di lei come una violenza psicologica, perché il manifesto associa l’uso della pillola abortiva alla propria morte. Sul piano scientifico, invece, non solo la RU 486 non mette a rischio la salute delle donne, ma il metodo farmacologico è, in realtà, ancora più sicuro, come conferma tutta la vasta e dettagliata letteratura scientifica sul tema. Fin dal primo lockdown, inoltre, è stato chiaro che l’aborto farmacologico fosse preferibile, anche perché evitava un ricovero ospedaliero, con tutti i rischi connessi di contagio da Covid-19. Per questo troviamo i manifesti di Pro-Vita del tutto assurdi e siamo d’accordo con chi ne ha chiesto la rimozione anche a Genova.
La sezione genovese dell’UDI (Unione delle Donne d’Italia), la prima organizzazione femminista nata in Italia, all’indomani della seconda guerra mondiale, ha dichiarato, in un proprio comunicato emanato il giorno stesso del presidio: «Consideriamo questi manifesti un attacco alla libertà e all’intelligenza delle donne. Il veleno non è la RU 486. Il veleno è chi pretende di esercitare un controllo sul corpo di noi donne. Il veleno è l’obiezione di coscienza che si attesta, in Italia, intorno al 70%, con picchi del 100% in alcune regioni. Il veleno è la sequenza continua di tagli alla sanità pubblica, il depotenziamento dei consultori, la scarsa cultura della contraccezione. Per questo, anche noi diciamo con forza che sul nostro corpo vogliamo decidere noi donne!»
Capita spesso, infatti, che, nei reparti ospedalieri in cui si pratica l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), non si riesca a trovare un medico disposto a fare l’intervento, perché tutti si dichiarano obiettori di coscienza, impedendo, così, alle donne di esercitare un loro diritto. Abortire non è mai una cosa che si faccia a cuor leggero: è sempre un trauma e nessuno ha diritto di renderlo ancora più pesante. Ci sono donne prive di mezzi per mantenere un bambino e donne che abortiscono perché portano in grembo il frutto di uno stupro: chi può avere il diritto di giudicarle e decidere sul loro corpo al loro posto? Molti medici, poi, si dichiarano obiettori negli ospedali pubblici, salvo praticare gli aborti privatamente, a pagamento. 
Semmai, per aumentare il livello di consapevolezza, sarebbe molto utile introdurre la materia di Educazione Sessuale nelle scuole e fare una seria informazione ai giovani sulla sessualità e sulla contraccezione.
Non troviamo nulla di male nell’indurre un aborto farmacologico, soprattutto se si può evitare un intervento chirurgico, in particolar modo il raschiamento, un’operazione molto dolorosa che, fino a pochi anni fa -ma ancora oggi-, può far perdere la fertilità ad una donna.
Che una donna si debba sentir dire che questa pillola venga paragonata a un veleno ci sembra davvero assurdo, ma soprattutto falso. D’altro canto non c’è nemmeno troppo da stupirsi: questi cartelloni sono stati appesi col consenso di un uomo… Noi abbiamo quasi diciassette anni e siamo dell’idea che questa procedura sia anche meno grave soprattutto se fatta su una ragazza molto giovane, anche perché un intervento chirurgico potrebbe portare molte complicanze, sia a livello fisico sia (soprattutto) a livello psicologico, complicanze che in una ragazzina si possono manifestare molto più facilmente. Lo ribadiamo: una gravidanza indesiderata può essere causata non solo dalle poche precauzioni prese, ma anche da fatti molto più gravi come ad esempio uno stupro: un motivo valido in più per usare la RU 486 in caso di necessità.

Francesco Baietti
Daria Bazzarini
Beatrice Bruni
Ruggero Gentile


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