Il cacciatore: la sventura di sopravvivere

 



In occasione del suo 45° anniversario, il cult movie Il cacciatore firmato Michael Cimino, viene ridistribuito nelle sale cinematografiche in una versione restaurata, a disposizione di nostalgici d'altri tempi i quali ricordano la sua prima uscita, e giovani desiderosi di riscoprire uno dei grandi capolavori del passato.
Oltre a potersi vantare di un'ottima regia, questo colosso dei Viet-war movie offre un cast stellare, coronato da Robert De Niro, Christopher Walken e John Savage, nelle parti dei tre amici volontari in quell'inferno conosciuto ai più come guerra del Vietnam.
La pellicola venne immensamente apprezzata da pubblico e critica e, nonostante alcune critiche di razzismo, non ebbe difficoltà ad aggiudicarsi la statuetta d'oro per regia, miglior film e miglior attore non protagonista (oltre a sonoro e montaggio).
Ma di cosa parla questa perla ormai rara? Quali sono le tematiche ed i messaggi che il film vuole veicolare?

*La prossima parte dell'articolo è consigliata ai soli che hanno già visto il film, a chi non rientra in questa descrizione il mio consiglio più sentito è (a prescindere dalla lettura o meno del suddetto articolo) di recuperare il film senza il generarsi di aspettative sulla base di recensioni lette in precedenza della presa visione, le quali possono distorcere la ricezione dell'opera da parte di uno spettatore. Detto questo, siete avvisati.*
Nelle tre sequenze che compongono la pellicola, i nostri protagonisti scenderanno sempre più in fondo ad un baratro da cui è ben difficile risalire, rimanendo risucchiati in un vortice a uscita singola.

La trama
Un gruppo di operai di un’acciaieria di Clayton, in Pennsylvania, passa tutti i giorni a bere e divertirsi, e tra di loro vi è un forte legame di amicizia. Questo clima lieto e spensierato verrà, però, interrotto da un tragico avvenimento che sconvolgerà le loro vite: la partenza per la guerra. Riconoscenti di tutto ciò che avevano, Mike, Nick e Steven hanno deciso di offrirsi volontari per andare a difendere l’onore del proprio paese al fronte. Per via di questa scelta, Steven decide di sposarsi con una ragazza di sua conoscenza prima del suo allontanamento. I festeggiamenti per il matrimonio sono una delle ultime occasioni che il gruppo ha per trascorrere del tempo insieme. Prima di partire, gli amici decidono di dedicarsi ad una delle attività che prediligono: la caccia al cervo. La battuta è proficua, e Mike riesce ad abbattere un esemplare con un solo colpo (da sua abitudine). Sarà l’ultima battuta assieme.






Il destino non sarà, però, clemente coi nostri.

Se prima non si dormiva per festeggiare, ora non si dorme per sopravvivere, e le canzoni cantate fino a tarda notte sono solo un lontano ricordo. Benvenuti in Vietnam. Non c’è addestramento, non c’è arrivo, solo la morte in un “campo di prigionia”. Rinchiusi in gabbia, sono costretti a giocare per sopravvivere, giocare un gioco malato da cui nessuno esce vincitore: il solo colpo nel fucile di Mike si era tramutato nel solo colpo dentro il tamburo del revolver che i prigionieri americani sono costretti a puntarsi alla tempia, per poi premere il grilletto. Poco a poco i detenuti statunitensi cadono come mosche sotto il sadismo dei carcerieri, logorati tanto quanto le loro vittime, e Mike si ritrova solo coi suoi compagni. E’ solamente grazie alla sua trovata di inserire 3 munizioni nella pistola (munizioni che scaricherà sui sadici aguzzini) che i tre riescono a non finire come tanti dei loro commilitoni. Avvistati da un elicottero, solo Nick riesce a salirvi. Mike lascia Steven (con le gambe rotte per una caduta) ad una pattuglia di camerati, per poi scomparire nel marasma dei profughi.




I tre amici erano, sì, al sicuro, ma ben lontani dall’essere in salvo.

E’ in un ospedale militare di Saigon che ritroviamo Nick, ma non lo stesso di prima. E’ qui che scopriamo un Nick svuotato, che incapace di reagire al peso di ciò che aveva passato è, ormai, allergico alla vita.
Non ha neppure più il coraggio di chiamare a casa, o anche solo di guardare una foto di Linda, la donna che ama. Non vi era rimasto niente del testimone di Steven, o del compagno di caccia di Mike, l’unico rimasuglio, era la sofferenza, che ora albergava in lui da signora padrona.
Come polvere al vento, viene sballottato dalla corrente per le strade della città. Ad un certo punto, il fragore di uno sparo squarcia la mitezza della notte. Subito attirato dal suono del suo, ormai, unico pensiero, si dirige verso la fonte. Se lui era stato costretto, obbligato a farlo, loro erano ben consapevoli di ciò a cui andavano incontro, eppure puntavano la canna verso la tempia e premevano il grilletto, senza nessun mitra vietnamita puntato contro la schiena, senza i cadaveri dei commilitoni ammassati tutt’intorno, preda ormai dei soli alcool, cocaina e dolore.
Così annebbiato dall’amarezza, non riconosce neanche il volto di un Mike in lacrime, anch’egli spettatore di quell’insensata moria, anch’egli dominato da istinti suicidi.
Tentata dall'opportunista Julien (l’organizzatore di questo sadico gioco), la parte ancora umana del giovane prova a resistere alla tremenda spaccatura nella sua anima, senza però riuscirci, soccombendo al peso della vita. Nick si allontana in auto insieme al suo nuovo amico, senza udire la voce dell’appena rinvenuto Mike, che lo insegue per riunirsi col suo vecchio compagno.
La tentazione di appropriarsi di quel revolver, di portarlo alla tempia e premere il grilletto, viene per un momento controbilanciata in Mike dalla (breve) vista di un ritrovato Nick. Ricordo ormai lontano di una passata e più rosea vita, dà la forza a Mike di ricongiungersi a quella che un tempo usava ricordare come la sua normalità.





Mike torna a casa, senza però lasciare in Vietnam i suoi ricordi di laggiù.

Giunto in taxi davanti a casa, vede gli striscioni col suo nome, le bandiere sventolanti, tutti riuniti lì per lui, ma non ce la fa, viene assalito dall'ansia, e non riesce a resistervi. Si fa portare in albergo, prende una camera e si accascia contro il muro, incapace di opporre alcuna resistenza al peso del presente.
L’indomani va a reincontrare Linda (la donna di cui era innamorato, la medesima di Nick). Sebbene lei sia felice di rivederlo, non riesce a mascherare il profondo segno che l’abbandono le ha lasciato.
Piano piano Mike si ricongiunge coi suoi vecchi compagni e cerca di ritrovare una parvenza di normalità: va al bowling, beve con loro, e torna in montagna a caccia di cervi.
Tuttavia la tranquillità di un tempo è ormai scomparsa, rapporti e dialoghi sono freddi, e tutto è marchiato da rimpianti, sconforto e patimento. La stessa scelta di Mike di non sparare ad un cervo che ha perfettamente sotto tiro, rappresenta quanto l’uomo sia cambiato, mostrando empatia verso la creatura, capendo solo ora come ci si sentiva ad essere braccati come animali.
Durante questa fase di riconciliazione, Mike viene, però, a conoscenza di una notizia che stravolgerà nuovamente le cose: Steven è tornato, ma non è a casa, e l’unica persona che sa dove si trovi è la moglie Angela. Andato a trovarla, Mike non ritrova la moglie di un veterano, Mike ritrova un guscio vuoto legalmente maritato ad un mutilato.
La persona nel letto è ben diversa dalla novella sposa avvolta nel bianco che ricordavamo da inizio film: al limite della follia, la donna è distesa, incapace anche solo di occuparsi del figlioletto di pochi anni. Mike riesce a fatica a strapparle il nome del luogo in cui si trova Steven.
E’ all’ospedale dei veterani che lo ritrova, isolato da tutto ciò che poteva rappresentare la sua vita passata. Se il proprio carattere risoluto aveva dato a Mike la forza di riunirsi alla sua famiglia, lo stesso non era capitato con Steven che, molto più condizionato dall’esperienza di morte subita, aveva cercato un luogo dove potersi rifugiare indisturbato, solo col suo dolore.
Prima del forzato ritorno a casa “inflittogli” da Mike, Steven mostra lui degli strani pacchi recapitatigli ogni mese da Saigon, contenenti denaro ed elefanti in legno. Mike capisce subito che il mittente di tali spedizioni è Nick.
Memore della promessa fattagli prima della partenza e più che determinato a trovare il vecchio fratello d’armi, Mike decide di andare a recuperarlo.
E’ in una Saigon pervasa da caos, distruzione e odio per gli americani dove Mike arriva alla ricerca dell'amico. Dopo aver reincontrato Julien, Mike arriva finalmente al covo di quel gioco perverso, ed è lì che ritrova nell'ombra il suo vecchio compagno, è lì che reincontra Nick. Appena visto gli va incontro, pieno di lacrime, “Nick! Nick! Hey! Stai bene?”, alle sue esortazioni non corrisponde nessuna risposta. Mike continua “Nick? Nick! Hey Nick sono io, Mike!”. Nick si limita a fissarlo con sguardo sbarrato, attonito, come se non lo riconoscesse. Sono vani i continui incitamenti di Mike, Nick non sa chi lui sia, né perché sia lì, né il significato delle parole di amicizia espresse nei suoi confronti. Supera con forza Mike e si dirige al tavolo dove lo sfidante lo sta aspettando. Nella ricerca disperata di un dialogo con l’amico, Mike entra nel gioco: sono loro due, uno contro l’altro, come tanto tempo prima nella capanna dei Viet Cong. Seduti l’uno davanti all’altro, Mike continua imperterrito a supplicare Nick di andarsene di lì, si ostina a ripetergli dettagli della sua vita, ma Nick sembra non sentire. Ciò che Mike non sa (o forse non vuole accettare) è che Nick è morto ormai da tempo, era morto in quella capanna in riva al fiume, nel mezzo dei campi di battaglia. Quello che Mike ha davanti è ormai solo un guscio vuoto deambulante, che condivide col suo vecchio compagno di caccia nient’altro che le fattezze.

E’ proprio Nick a cominciare, sprezzante punta la pistola alla tempia e preme il grilletto: rumore sordo. Ora tocca a Mike, spaventato per il destino suo e quello dell’amico, si punta la pistola alla testa e, rivolgendo un ultima fraterna parola all’amico, preme il grilletto: rumore sordo. Turno di Nick, Mike prova disperatamente, un'ultima volta, a distoglierlo dal farlo, ad andarsene insieme e a lasciarsi alle spalle quell’inferno. Mike gli ricorda le montagne, la caccia insieme, gli alberi: l’amico scoppia a ridere in un ghigno divertito, punta la pistola alla testa, e preme il grilletto.
Nick è tornato a casa in una cassa di legno e fu uno dei tanti che, come verseggiò De André: “diede la vita ebbe in cambio una croce”. Vane e struggenti furono le urla disperate di Mike, quasi volesse estrarre il proiettile dalla testa del compagno, sommerse in un mare di lacrime. Quell’ultimo colpo in canna è probabilmente stata l’unica salvezza cui Nick potesse aspirare, la liberazione di un fantasma da un mondo di tormento: Nick ha trovato l’uscita singola.
Ai funerali partecipò tutta la comunità. Dopo la celebrazione il gruppo si riunì al bar di John per compiangere la prematura dipartita del loro fratello caduto. La toccante scena finale non può far altro che girare il coltello nell’amara ferita che già il film aveva inferto allo spettatore. Il momento in cui un gruppo di amici privati di tutto, cerca di alleviare le proprie sofferenze tentando di ubriacarsi col patriottismo di God bless America, per provare a dare un senso a ciò che era successo, per trovare il motivo per cui avevano perso molto più della loro stessa vita. Dio forse benedice l'America, ma di certo non gli americani.



Gli effetti del conflitto

A differenza di altre grandi pellicole sulla guerra del Vietnam, quali Platoon e Full metal jacket, Il cacciatore è un film in cui combattimenti e battaglie sono lasciati in disparte, dando priorità a mostrare le emozioni umane provate dai singoli personaggi. Inoltre i film sopracitati si concludono entrambi con un messaggio ottimistico o, per lo meno, di coraggio e speranza per l’avvenire, ed anche in questo Michael Cimino si discosta dai suoi colleghi. Se i due capolavori di Stone e Kubrick seguono un viaggio in cui i protagonisti cominceranno dall’acclimatarsi in una situazione di estrema durezza, per poi (dopo mille peripezie) finire con l’affrontare le proprie difficoltà e superarle, passando ad una fase meno ardua, Il cacciatore prende la strada esattamente opposta, cominciando con una situazione allegra e radiosa, ma facendo finire i nostri protagonisti sempre più in profondità nel baratro della disperazione. Ed è esattamente questo il senso del film. La volontà di Cimino è esattamente mostrare il decadimento della psiche umana sottoposta alle brutalità di un conflitto, e ci riesce magistralmente (complice anche la recitazione stellare di tutto il cast). Proprio per questo la pellicola è più associabile all’ultimo colosso ancora non citato sulla guerra del Vietnam, ovvero Apocalypse now, in cui il delirio vige sovrano.
Il cacciatore non ha combattimenti, è vero, ma la roulette russa è un ottima metafora per descrivere cosa sia una battaglia. Che il proiettile che ti colpisce provenga dal fucile di un nemico o dal tuo stesso revolver, il risultato è il medesimo: la morte, nel migliore dei casi, e che tu muoia o meno, dipende esclusivamente dal caso, la forza indomabile che regna in guerra. Ma ciò non capita ai nostri protagonisti: essi, come detto, riescono a mettersi al sicuro, ma sono ben lontani dall’essere salvi. Ognuno di loro agisce diversamente in risposta a ciò che ha passato, ma di fondo tutti saranno trainati dagli stessi istinti. Mike è la personalità più risoluta all’interno del gruppo, per cui (dopo un iniziale periodo di smarrimento) riesce ad emanciparsi, almeno in parte, dagli avvenimenti del Vietnam, quel tanto che basta per aver la forza di tornare a casa. Una volta arrivato, però, la strada è tutt’altro che in discesa. E’ costretto a vivere ogni suo momento col costante senso di incertezza per il futuro che la guerra gli ha fatto ereditare. E’ costretto a passare ogni attimo della sua vita ripensando a ciò che ha visto in quella capanna laggiù in Vietnam.
Sarà costretto per sempre a rivedere i cadaveri dei suoi commilitoni cadere a terra senza vita, chiedendosi: "perché loro sì e io no?”.
Di tanto in tanto, poi, quando si guarderà allo specchio e rivedrà per l’ennesima volta il commilitone caduto senza vita, sarà quasi tentato di portare il revolver anche alla sua tempia, e premere il grilletto, così da mettere fine a quell'interminabile supplizio.
Steven, di carattere meno determinato rispetto a Mike, è tornato a casa (per voglia o costrizione) ma non ce l’ha fatta a ricongiungersi con gli amici, isolandosi in un ospedale per veterani, ad elaborare in solitudine il suo dolore, tentando di dimenticare la propria miseria. Solo l’ausilio della forte personalità di Mike gli darà la forza per riconciliarsi coi propri cari.
Nick è chiaramente il caso più estremo. Completamente svuotato dall’esperienza vissuta, ha sviluppato una totale indifferenza nei confronti della vita. Lo stesso pensiero che teneva svegli la notte Mike e Steven, ha scavato più in profondità dentro Nick, che, completamente distrutto dal dolore, ha sviluppato una forma di totale nichilismo. Non gli importava più di vivere o morire, non gli importava più della sua identità o dei suoi amici, gli importava solo di quel salvifico colpo nel tamburo del revolver.
Per quanto abbiano un decorso differente, gli istinti al limite del suicidio radicati nei tre giovani sono i medesimi, le uniche variabili che influenzano l’intensità con cui questi si manifestano sono la personalità, le condizioni in cui ci si trova e con chi ci si ritrova.
La distruttiva forza della guerra, non si limita solamente ai soldati direttamente implicati nel conflitto, è più articolata di così, più sadica. Agisce di riflesso sui soldati, per poi proiettarsi su tutta la comunità, sulle famiglie, sulle madri e sulle mogli, senza lasciare superstiti. Non c'è persona che non abbia perso qualcosa, non c'è comunità che in quei grigi anni non sia stata dissanguata. A 10mila miglia di distanza, il Vietnam si rivelò la loro peggior sciagura.




Le conseguenze del nazionalismo

L’altro scopo in cui il film si dimostra impeccabile è la più totale distruzione dell’insensato concetto di nazionalismo e di tutte le sue sfaccettature, la dimostrazione di quanto sadico e meschino esso sia. Tanto sadico, quanto funzionale. L’apice del film è raggiunto nella scena finale: la vista straziante di queste persone che, private in parte o del tutto della loro vita, dilaniate da ansie e inquietudini, cercano disperatamente una felicitazione, una sicurezza, un motivo, e finiscono per trovarlo nel vero antagonista del film: il patriottismo. Il patriottismo, che non solo priva le madri dei figli e li invia a morire in una landa desolata (dandogli l’illusione che sia stata una loro stessa scelta), ma li porta a commettere peccati imperdonabili, azioni ripugnanti, che finiranno per corroderli per il resto della loro vita. La guerra è la vera sventura, ma il carburante indispensabile che essa necessita per divampare è proprio il patriottismo, costantemente erogato ai popoli tramite canti e bandiere sventolanti, bandiere ricoperte di strisce bianche e rosse, il rosso del sangue delle vittime che miete ogni giorno. E’ stato il patriottismo a far partire i tre giovani, a devastare le loro anime e ad uccidere Nick, è stato il patriottismo a consumare le loro famiglie, a distruggere i loro rapporti senza lasciare alcuna traccia di speranza. Ed è sempre stato il patriottismo a passare, imperterrito, non solo come innocente, ma come corroborante, come fortificante indispensabile per tutti gli uomini. I nostri personaggi finiscono col vedere il nazionalismo come un vecchio amico a cui appellarsi nei momenti difficili, e non come il brutale assassino di tutto ciò che avevano.

E’ questa la cruda verità celata dietro il sogno americano, è questo ciò per cui i ragazzi vanno ancor oggi a morire.
Nella guerra del Vietnam sono stati più di 1.200.000 i soldati americani inviati, quanti Nick vi sono stati tra di loro? Quanti Mike e Steven ci sono ancor'oggi in tutto il mondo?




Martino Garnero 













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